The Rookie – un mix del meglio delle serie USA in un poliziesco.
A “poliziesco” ho sentito urlare fin da oltreconfine, mi sono arrivate buste con bossoli di grosso calibro e mio padre mi ha quasi diseredato. Il genere, ammettiamolo, è così trito che al solo nominarlo si rischiano depressione, divorzio e istinti suicidi. Perfino alieni e rettiliani pregano quotidianamente affinchè non arrivi l’ennesimo “ELLEIPIDDI! FRIIIIIZ!”.
Eppure… Eppure non solo la formula funziona da decenni (ricordiamone gli albori con Miami Vice, Starsky &Hutch, T.J. Hooker e i CHiPs, roba che solo noi reduci dalla guerra del Peloponneso possiamo ricordare), ma ogni tanto sa anche diventare divertente senza troppe pretese, come insegna “Brooklyn 99”.
“The Rookie” invece segue il filone tendenzialmente serio, a parte qualche ovvio momento di alleggerimento, ma riesce comunque a non risultare stantìo o greve.
Trama veloce veloce: John Nolan è un uomo intorno ai 40 che, a seguito di un divorzio e di una rapina in banca, decide di voler fare il poliziotto, che quella sarà la sua carriera. Essere un uomo di mezza età in mezzo ai giovani, tuttavia, è una sfida nuova e a volte impegnativa!
Trama semplice e lineare. “E quindi”, vi chiederete, “perché ci deve stracciare gli zebedei con “The Rookie”?”
Beh, il primo motivo, banalissimo, è che è fatto pure bene. si vede che è una serie moderna, girata un po’ con inquadrature classiche, un po’ dalla prospettiva della dashcam (de facto una POV) e infine ogni tanto ci dà una specie di panoramica come se guardassimo dal cruscotto verso di loro, quando sono in auto.
In secondo luogo, perché incorpora in modo molto equilibrato il meglio di quegli elementi che rendono una serie TV interessante e godibile: il dramma -senza sfociare nel ridicolo come talvolta Grey’s Anatomy-, l’azione, una recitazione niente male, episodi scritti più che discretamente e dei momenti comici gradevoli senza esser pacchiani (Disney, ci siete? Sapete che ce la potete fare anche voi a fare ridere o sorridere senza esser scontati, banali e dall’umorismo da due soldi?).
Fin qui tutto normale, probabilmente. Anche lo schema ricorda molto uno dei tanti telefilm che abbiamo visto da vent’anni or sono: un’ “annata” di reclute nuove e cominciano a snodarsi avventure su avventure (praticamente i protagonisti diventano una sorta di centro del mondo in cui accade tutto, sempre) e nel contempo si svolgono i loro piccoli o grandi drammi privati.
Ma siamo ancora nell’ambito del normale. Che potrebbe anche essere sufficiente, poichè non è stato pubblicato mica in pompa magna come la serie TV del secolo. Ma reputo che abbia una caratteristica particolare che me la rende particolarmente piacevole, specie in questo momento storico di polarizzazione di posizioni e di tendenza a far diventare tutto strumento di propaganda (che poi mi sembra sia quel che sta facendo platealmente la DC Comics, con l’unico risultato che le vendite stanno crollando a picco; e mi chiedo come potrebbe essere diversamente, visto che la gente che compra fumetti vuole molte cose, ma NON la propaganda): ha un grado di inclusività altissimo senza sfociare negli orrori di politicamente corretto, cancel culture, propaganda o quant’altro. I vari protagonisti, di qualsiasi pelle o orientamento sessuale o *laqualunque* siano, convivono fregandosene bellamente del colore delle pelli o di ciò che gli altri fanno coi genitali propri- esattamente come dovrebbe essere nel mondo reale. Tutto ciò, senza sbattere forzatamente alcunchè in faccia allo spettatore. Credo sia la prima volta assoluta che troviamo tanta perfezione nel mandare messaggi chiari senza paroloni, in modo discreto e naturale, senza imposizioni plateali. Le donne picchiano come Fra’ Tuck fatto di anabolizzanti e nessuno se ne stupisce – sono poliziotte, sono addestrate anche per quello; dal nulla, si scopre che uno dei protagonisti, peraltro forse il più coraggioso, è gay, e viene rivelato in modo naturalissimo, senza alcuna cerimonia e senza che ciò causi mezzo commento da parte di chicchessia; le varie etnie collaborano senza “se” e senza “ma”, e quando ciò non accade, gli autori sono chiari sulle conseguenze e sulle loro posizioni, togliendo qualsiasi scusa per aver da ridire, come se dicessero “se ti disturba, il problema è tuo”.
Anche la tematica del razzismo interno alla polizia stessa viene affrontata, sempre esplicitamente e senza fare sconti, ma senza forzature.
Le storie sono quelle classiche di un poliziesco, non è che ci si possa discostare molto, ma si vede, nei vari colpi di scena, un certo sforzo per cercare di dare qualcosa in più, sfruttando anche solo il fatto che John Nolan, il protagonista, è un uomo di mezza età.
Apprezzo anche moltissimo il fatto che, anche nel dramma, il telefilm non arrivi mai a livelli di irrealistica sfiga tipo Shonda Rhimes. Non ci sono disastri aerei in cui mezzo cast viene fatto fuori; non ci sono incidenti incredibili che guardacaso coinvolgono qualcuno dei nostri amati protagonisti; niente pipponi moralizzanti ogni episodio. Ci sono momenti di riflessione, ma sono bilanciati bene con altri momenti di allegria.
Ecco, questo mi fa venire in mente anche un altro aspetto piacevole: “The Rookie” non è cattivogeno! Ha un che di telefilm anni 70-80, di quelli che ti tenevano allo schermo e ti lasciavano con un sorrisone, ed è una caratteristica che si è persa in moltissime serie! Game of Thrones, Grey’s Anatomy, Oz, ma anche serie propriamente analoghe come NCIS, Law & Order nelle sue varie declinazioni, lasciano con un senso di pesantezza, di spossatezza e di inquietudine, quando non di nervoso vero e proprio (il termine “cattivogeno” l’ho coniato in casa per “uso privato” per il programma che ho odiato e quindi evitato di più in assoluto: camera cafè, che mi lasciava appunto incattivito col mondo).
“The Rookie”, come “Brooklyn 99” prima, invece, lasciano leggeri, soddisfatti e allegri, e credo che questo sia il fattore più importante per poter parlare propriamente di “intrattenimento”.
Voto sicuramente almeno 7,5!